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I Villaggi tradizionali di Bali: l’isola oltre il turismo

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Negli ultimi anni si parla spesso di Bali come di un’isola svuotata, piegata alle logiche del turismo, dove resta poco della vita vera che l’ha resa speciale. Una sensazione comprensibile: in alcune zone l’anima balinese sembra finita sotto strati di resort, locali alla moda e scenografie per Instagram.

Ma fortunatamente, questa non è tutta Bali. Basta infatti uscire dai circuiti più battuti per ritrovare luoghi che hanno tenuto strette le proprie radici. Dove le tradizioni non sono uno spettacolo per chi passa, ma un modo di vivere. La religione scandisce ancora le giornate, le comunità restano compatte e l’isola mostra il suo volto più antico.

In questa guida non troverai un elenco completo di tutti i villaggi tradizionali di Bali. Sarebbe impossibile: molte realtà locali sono piccoli desa difficili anche solo da mappare in modo ordinato. Ho scelto quindi alcuni luoghi simbolici ed essenziali, organizzandoli per tipologia, così da darti una base chiara per capire le differenze e decidere cosa vale davvero la pena inserire nel tuo viaggio.

Che cos’è un villaggio tradizionale balinese

Nei villaggi convivono due livelli che aiutano a capire come funziona davvero la vita locale: desa adat e desa dinas.

  • Desa adat è il villaggio nella sua dimensione più tradizionale: la comunità con le regole consuetudinarie (awig-awig), la vita religiosa, i templi, le cerimonie, i doveri collettivi. In pratica, definisce l’identità del luogo e il modo in cui le persone vivono insieme: cosa è permesso, cosa è richiesto, come si celebrano riti e feste, quale rapporto si mantiene con antenati e spiritualità.
  • Desa dinas è la struttura amministrativa moderna: quella legata allo Stato, ai servizi pubblici e alla gestione “burocratica” del territorio (documenti, infrastrutture, organizzazione civile).

Questa doppia anima si vede anche nello spazio quotidiano. Le case non sono pensate come unità isolate, ma come compound familiari: più nuclei della stessa famiglia allargata raccolti attorno a un cortile comune, con un portale d’ingresso e quasi sempre un santuario domestico. È un dettaglio decisivo, perché mostra una cosa semplice: a Bali il sacro non sta in un luogo separato, entra nella routine, nelle offerte del mattino, nelle ricorrenze del villaggio, nei riti che scandiscono l’anno.

Infine, c’è una differenza culturale importante. La maggior parte dei villaggi segue la tradizione balinese “classica”, legata all’induismo balinese e all’eredità Majapahit. I Bali Aga, invece, sono comunità considerate pre-Majapahit, quindi più antiche e spesso più rigorose nelle regole e nelle consuetudini. Capire questa distinzione cambia il senso della visita: non stai solo cercando un posto bello, stai leggendo due livelli di Bali — quello amministrativo e quello spirituale — che continuano a convivere nello stesso villaggio, ogni giorno.

Religione, riti e vita quotidiana

Per capire davvero i villaggi tradizionali di Bali bisogna partire dall’induismo balinese così come viene vissuto ogni giorno. Qui la religione non resta nei grandi templi o nelle feste solenni: entra nella routine. Le offerte davanti alle case, nei cortili, agli incroci e nei santuari domestici scandiscono il tempo, insieme ai templi di villaggio, che non sono luoghi “da visita”, ma spazi usati dalla comunità.

Il villaggio diventa un vero teatro religioso, nel senso più concreto del termine. Cerimonie collettive, processioni, musica gamelan e abiti tradizionali non sono eventi pensati per chi passa, ma momenti normali della vita comunitaria. Può capitare di imbattersi in una celebrazione senza preavviso, semplicemente perché quel giorno il calendario religioso lo prevede.

Da viaggiatore, molto si può osservare senza invadere. Le offerte e gli altari sono ovunque; i rituali di famiglia si svolgono nei compound, visibili ma non aperti; le piccole cerimonie di villaggio avvengono negli spazi comuni e si possono seguire con discrezione, restando a distanza e in silenzio. Non serve “partecipare” per capire: spesso basta guardare.

È qui che si capisce perché a Bali si dice che “tutto è sacro”. Non come frase romantica, ma perché il sacro è integrato nella vita quotidiana. Non è folklore per turisti, è un sistema che continua a funzionare anche senza una fotocamera davanti. Per questo vale una regola semplice: rispetto e discrezione vengono prima di qualsiasi contenuto social.

I Villaggi Bali Aga: le comunità originarie

Sono i villaggi più antichi di Bali in senso storico: comunità indigene nate prima dell’influenza Majapahit. Qui tradizioni, regole adat e riti collettivi sono rimasti molto conservati, spesso con un’identità più rigorosa e “originaria”. Visitarli significa entrare nella Bali delle radici, quella che precede la Bali moderna e turistica.

Tenganan Pegringsingan

Tenganan Pegringsingan
Bali autentic village
Villaggi autentici bali

Tenganan Pegringsingan è uno dei Bali Aga più significativi. Si percepisce subito che qui la tradizione non viene “messa in scena”. L’ingresso non prevede un biglietto fisso: in genere si lascia una donazione/offerta, con discrezione, come gesto di rispetto verso la comunità. Da Ubud servono circa un’ora e mezza di strada, ma la visita si incastra bene in un itinerario verso Amed, soprattutto se stai attraversando l’East Bali con calma.

io al Tenganan Bali village
Tenganan Pegringsingan bali
Pegringsingan village

Il punto centrale è questo: non è un luogo pensato per impressionare visivamente. Se cerchi scorci perfetti o un luogo da fotografare, rischi di restare deluso. Tenganan funziona quando lo si guarda per quello che è: un contesto reale, dove le persone vivono, lavorano e mantengono abitudini che altrove si sono diluite. Le case tradizionali, l’organizzazione del villaggio e l’artigianato locale — in particolare la tessitura geringsing — raccontano una Bali più antica e più rigorosa. Vale la pena se vuoi un’esperienza concreta e culturale, senza filtri.

Tigawasa

Tigawasa è un Bali Aga di montagna, nel Nord di Bali, e si sente subito che qui il turismo è ancora marginale. Non è una tappa “facile” da incastrare se hai pochi giorni: richiede tempo, curiosità e la voglia di uscire davvero dalle rotte più battute. In cambio offre un contesto più crudo e reale, fatto di comunità, foreste, aria fresca e un ritmo diverso rispetto alla Bali costiera. Non aspettarti scenografie perfette o scorci da cartolina: il suo valore è proprio quell’atmosfera da Bali pre-turismo, più adatta a chi cerca un taglio di viaggio quasi da reportage. L’orario migliore resta la mattina, quando il villaggio è più vivo e la luce rende meglio anche la parte naturale.

Trunyan

Trunyan si trova sulle sponde del lago Batur ed è uno dei casi più particolari di Bali, perché legato a rituali funerari che seguono tradizioni molto diverse da quelle che la maggior parte dei viaggiatori associa all’isola. È un luogo potente, ma va raccontato senza enfasi facile: non è un’attrazione “macabra”, è una pratica culturale che appartiene alla comunità e che si comprende solo con rispetto. In genere si raggiunge con barca e guida locale, spesso come escursione diurna, e proprio per questo conviene informarsi prima su regole e limiti, soprattutto su foto e video nelle aree sacre. Vale la visita per unicità culturale e contesto naturale, ma solo se lo affronti con il tono giusto e con l’idea di osservare, non di consumare.

Se il tempo è poco, meglio concentrarsi sull’esperienza e lasciare la logistica a qualcun altro.

I villaggi rurali tradizionali

Non sono Bali Aga, ma custodiscono la Bali di sempre: risaie, Subak, artigianato e vita comunitaria legata alla terra. Sono “tradizionali” perché mantengono ritmi e paesaggi culturali balinesi ancora vivi oggi. Qui l’autenticità si legge nella quotidianità rurale e nella continuità della cultura agricola.

Sidemen

Il mio preferito in assoluto, capace di restituire una Bali più essenziale e meno mediata. Sidemen non è un “luogo chiuso” come Penglipuran o Tenganan. Non esiste un ingresso, non c’è un biglietto, non trovi una visita strutturata. Sidemen è una valle rurale, un’area composta da piccoli desa, risaie, strade secondarie e templi di comunità. In altre parole, “villaggio” va inteso nel senso più letterale: un territorio abitato, non un luogo da attraversare in mezz’ora.

il villaggio di Sidemen a Bali
il villaggio di Sidemen in Indonesia
sidemen waterfall

Restare qui cambia la percezione: al mattino presto la valle è silenziosa, le attività quotidiane emergono senza filtri e, con un minimo di fortuna, puoi assistere a piccole cerimonie locali o a momenti di vita religiosa che altrove passano inosservati. Sidemen funziona anche come base per attività semplici ma complete: camminate tra le risaie, trekking leggeri, giri in scooter tra i villaggi, cascate, punti panoramici e tanta natura.

Se Ubud oggi ti è sembrata troppo densa e frenetica, Sidemen è una versione più raccolta e verde, adatta a rallentare e respirare. È uno di quei posti in cui il valore sta nel ritmo, non nell’attrazione singola.

Jatiluwih

Jatiluwih, non è un villaggio “chiuso” con un ingresso unico e una visita ordinata: è una valle agricola ampia, fatta di risaie, piccoli insediamenti e strade di campagna. Il ticket si paga in alcuni punti di accesso all’area delle risaie ed è legato alla gestione e alla tutela del territorio, non a una visita “musealizzata”.

Qui il valore non sta nell’entrare, vedere e uscire, ma nel muoversi dentro un paesaggio che a Bali non è soltanto bello: è culturale. Le terrazze di riso sono legate al sistema subak, una gestione comunitaria dell’acqua che per secoli ha regolato la vita dei villaggi e l’equilibrio tra agricoltura e spiritualità. Non è un dettaglio tecnico, è il modo in cui una comunità si organizza, decide, lavora e celebra, con tempi condivisi che si riflettono anche nei ritmi del territorio.

Una volta arrivato, il resto è semplice: scegli un percorso e cammini tra le terrazze, senza dover inseguire un’attrazione specifica. Il momento migliore è la mattina presto, quando la luce è più morbida e l’area è più silenziosa, oppure nel tardo pomeriggio. Vale la visita se vuoi vedere una Bali agricola e ordinata, dove la bellezza è quotidiana e non dipende da una messa in scena per turisti.

Penglipuran

Su Penglipuran è giusto essere onesti. È probabilmente il villaggio tradizionale più famoso di Bali e, di conseguenza, anche quello che negli anni si è adattato di più al turismo. La vicinanza a Ubud e la facilità con cui si raggiunge lo hanno trasformato in una tappa molto frequentata, e questo si percepisce subito. L’ingresso è regolato, l’organizzazione è chiara, e l’esperienza è ormai pensata anche per chi arriva, guarda e riparte.

Il villaggio di Penglipuran a Bali
villaggio Balinesi
penglipuran-traditional village

Detto questo, Penglipuran resta un luogo antico, con una struttura tradizionale ben conservata. Il viale centrale, le porte delle case allineate, i giardini curati e l’ordine complessivo rendono la visita piacevole e visivamente forte. Non è una “trappola” in senso stretto, ma è evidente che oggi funzioni anche come vetrina della Bali tradizionale.

Vale la pena andarci? Sì, soprattutto se è la prima volta a Bali o se ti trovi a Ubud. Si visita con facilità, richiede circa un’ora o poco più, ed è un buon punto di partenza per capire com’era organizzato un villaggio balinese.

Consigli per una visita consapevole

Nei villaggi tradizionali di Bali conta molto più il modo in cui ti muovi che la lista di cose da vedere. Parti dal dress code: spalle e ginocchia coperte sono la norma, e un sarong può essere richiesto soprattutto vicino ai templi o durante le cerimonie. Non serve vestirsi “da tempio” tutto il giorno, ma presentarsi in modo rispettoso fa la differenza.

Il comportamento viene subito dopo. Evita di entrare nei compound familiari senza invito, non toccare le offerte lasciate a terra o sugli altari e, se vuoi fotografare o riprendere persone e riti, chiedi prima. Spesso basta un gesto o una domanda semplice per capire se è appropriato.

Un dettaglio pratico: in alcuni villaggi non esiste un biglietto vero e proprio, ma è normale lasciare un piccolo contributo. Se ti viene indicata una donazione, considerala parte dell’esperienza e non un fastidio: molte comunità vivono con poco e quel gesto, per quanto minimo, è un modo concreto per ricambiare l’ospitalità e sostenere la vita del villaggio.

Vale la pena visitare i villaggi tradizionali di Bali?

Se il tuo obiettivo è uscire dalle rotte più turistiche e capire davvero come si vive a Bali, allora si, i villaggi tradizionali sono uno dei modi più diretti per farlo. Qui la vita quotidiana, la religione e l’organizzazione della comunità non sono concetti astratti, ma cose che vedi succedere davanti a te, senza filtri.

Detto questo, è giusto essere realistici. Alcuni sono cambiati molto e oggi funzionano anche come attrazioni turistiche. In certi casi l’autenticità si è adattata al visitatore, e questo si percepisce. Ma anche così, dal punto di vista architettonico, culturale e storico, restano luoghi che aiutano a capire meglio Bali e il suo passato.

Il mio consiglio è semplice: non cercare di vederli tutti. Scegline uno o due, magari appartenenti a tradizioni diverse — un villaggio Bali Aga e un’area rurale più aperta, considera che alcuni sono difficili da raggiungere, altri finiscono per assomigliarsi, e una volta compreso il “mood” il rischio è che l’esperienza diventi ripetitiva. Meglio poche tappe, fatte con calma, che una lista infinita spuntata in fretta.

Se vuoi approfondire un buon riferimento esterno è il portale ufficiale del turismo indonesiano: Se hai qualche domanda o ti serve un’informazione pratica per organizzare la visita, lascia pure un commento: rispondo volentieri.


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Cacciatore di orizzonti

Dopo un lungo percorso interiore, ho capito che la vita tradizionale non faceva più per me e ho deciso di smettere di timbrare il cartellino. Oggi sono un SEO specialist e blogger: viaggio per il mondo e racconto ciò che vedo.

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